Avevo undici anni ed ero cresciuto con l’idea che l’Italia era un po’ una nazione di serie B.
Era pericoloso viaggiare perchè mettevano le bombe nelle stazioni, gli aerei cadevano non si sa bene perchè e ogni tanto c’era qualche sparatoria nelle grandi città dove moriva qualcuno “per sbaglio”.
Anche i mondiali dell’ ’82 in Spagna erano cominciati con la stessa tiritera: la squadra è debole, non siamo capaci di organizzarci, i giocatori sono quelli sbagliati e via discorrendo.
Poi ci fu l’Argentina e poi il Brasile: il riscatto.
L’11 Luglio del 1982 era una giornata calda, qualcuno aveva stampato goliardicamente dei manifesti funebri che riportavano il decesso della “Germania” dopo 90 minuti di agonia e li vendeva per fare un po’ di soldi.
E poi la partita, il televisore “Mivar” a tubo catodico da 24 pollici con quell’azzurro “PAL” che si estendeva un po’ oltre la maglietta, appena sfocata, dei calciatori, il nonno con la canottiera e i pantaloncini vicino al balcone e io dietro il tavolo a tre metri di distanza dal televisore, perchè più vicino c’erano “le radiazioni”.
Il rigore sbagliato e la paura di ritornare alla realtà di un Paese in cui “non funziona nulla”.
E invece no, tutto filò liscio, compreso il corteo di auto con i clacson suonati istericamente, il treruote con tre bambini che sventolavano magliette verdi, bianche e rosse mentre stavano in piedi nel cassone posteriore in spregio delle più elementari norme di sicurezza e la cinquecento con il tettuccio apribile popolata da almeno sei persone che si sporgevano agitando improbabili drappi di tessuto indecifrabile.
Finalmente c’era qualcosa di cui anch’io potevo andare orgoglioso, mi sentivo anch’io un po’ Campione del Mondo e il mio idolo era lui: “Dino Zoff”. Poi, purtroppo, sono diventato grande.